16.2.17
RASSEGNE STAMPA, DOCUMENTI E MATERIALI CORRELATI
La Fondazione Arena di Verona si affaccia al 2017 dopo aver affrontato , nel corso dell’ anno appena concluso, un gravissimo e violento attacco da parte delle istituzioni locali e nazionali. Il tentativo è stato quello di forzare la dismissione della Fondazione, a favore dell’ istituzione di un progetto che avrebbe previsto il solo allestimento del Festival estivo, sostenuto unicamente da fondi privati.
Per comprendere meglio la questione occorre andare con ordine.
Si può individuare come punto di partenza le linee ministeriali dettate dall’ allora Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Sandro Bondi che coadiuvato dal Commissario Straordinario per le Fondazioni Lirico Sinfoniche ,Salvatore Nastasi , dichiarano che non è più sostenibile il mantenimento di 14 Fondazioni con i fondi del FUS( Fondo Unico per lo Spettacolo). Non solo , introducono il concetto di Teatro- Azienda, con i necessari vincoli di bilancio e la necessità di attenervisi. Da allora, nonostante i cambi di governo, la linea non è mai cambiata: il punto di arrivo deve essere la dismissione delle Fondazioni, eccezion fatta per il Teatro alla Scala e l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.
Nello specifico la Fondazione veronese viene affidata allo scopo di contenere i costi, a Francesco Girondini, nella veste di Sovrintendente. Francesco Girondini, favorito dal Sindaco e Presidente della Fondazione Flavio Tosi, inizia il suo primo mandato nel 2008 e successivamente, sotto la supervisione di Salvatore Nastasi, istituisce Arena Extra, società partecipata della Fondazione Arena, di cui è Presidente unico.
Scopo di Arena Extra sarebbe dovuto essere l’organizzazione degli eventi extra lirici previsti nell’ anfiteatro Arena durante il periodo estivo contestualmente al Festival Lirico. Per anni la situazione sembra essere sotto controllo, o almeno così dichiara il Sovrintendente, tanto che nel 2013 rinuncia alla richiesta di adesione alla legge 112 ,detta Bray, dal nome dell’ allora Ministro del Mibact, sotto il governo Letta.
La legge Bray prevede un fondo rotativo a tassi agevolati alle Fondazioni che ne avessero fatto richiesta, a fronte di un piano di rientro del debito che preveda sì un contenimento dei costi, ma anche un incremento della produttività per un triennio. Nel caso in cui fossero necessari tagli al personale, questi avrebbero dovuto essere individuati in prima istanza nel personale tecnico amministrativo, mentre per le masse artistiche si parla genericamente di “razionalizzazione “.
Richiedono l’adesione alla legge Bray la maggior parte delle Fondazioni Lirico Sinfoniche, tutte in evidenti difficoltà economiche.
Nel Settembre del 2015, mentre il Teatro si trova in tournée in Oman, lo scenario cambia completamente. I lavoratori apprendono dagli organi di stampa che la Fondazione ha accumulato negli anni un debito che oscilla tra i 24 e i 30 milioni di euro e si è affidata alla società KPMG per la realizzazione di un piano di rientro del debito , piano che prevede, tra le altre cose, una drastica riduzione del personale a termine, fondamentale soprattutto nella stagione estiva, la riduzione della stagione invernale e la chiusura del Corpo di Ballo,quest’ultimo punto vecchio pallino del Sindaco Presidente Flavio Tosi.
Al rientro dalla tournée, con la ripresa della stagione invernale, inizia un violento braccio di ferro tra i lavoratori e l’amministrazione della città, che culmina a Novembre con la sospensione arbitraria del contratto integrativo aziendale da parte della Direzione del Teatro e l’occupazione, durata poi quattro mesi, da parte dei lavoratori. Alla fine di dicembre la questione della Fondazione Arena è diventata un caso di politica cittadina e, dopo alcuni consigli comunali straordinari, con conseguenti interrogazioni del Sovrintendente e del Sindaco sulla gestione della Fondazione, il Consiglio di Indirizzo decide di presentare al Ministero la richiesta di adesione alla legge Bray, con ormai due anni di ritardo rispetto alle altre Fondazioni.
Nel corso dei mesi particolarmente grave si presenta la questione del Corpo di Ballo, la cui chiusura pare essere il punto più caro al Presidente Tosi, che ha di fatto esautorato il Sovrintendente e si occupa ormai in prima persona della vicenda areniana. “Il Corpo di Ballo non ha più senso” : questo il leit motiv del Sindaco per cancellare più di trent’anni di storia della danza a Verona.
Gli attacchi mediatici ai lavoratori della Fondazione si fanno sempre più violenti da parte del Sindaco (notevole quando furono accusati di sciacallaggio per aver esposto la bandiera Francese dopo l’ attentato terroristico che sconvolse Parigi). I punti salienti erano, al solito, i presunti privilegi di cui i lavoratori godrebbero, responsabili, a detta del Sindaco, della grave crisi economica in cui versa la Fondazione.
La situazione sembra cambiare nel Febbraio del 2016 quando arriva a Verona, con il ruolo di Direttore Operativo, Francesca Tartarotti. I lavoratori, su insistenza anche delle organizzazioni sindacali, sgomberano i locali della Fondazione che occupavano da Novembre, dimostrando di essere pronti a fare un passo indietro in favore della trattativa che si aprirà a breve per la riorganizzazione del Teatro in vista della Bray e la ridiscussione del Contratto Integrativo Aziendale.
Ad Aprile un’ipotesi di accordo viene raggiunta tra le organizzazioni sindacali e la Fondazione. Tale accordo viene sottoposto all’ approvazione della assemblea dei lavoratori, che però lo boccia, non avendo riscontrato in tale accordo segni di discontinuità con il recente passato e soprattutto la completa assenza di presa di responsabilità da parte della Direzione del Teatro per la grave situazione di crisi in cui versa la Fondazione veronese, crisi che invece grava unicamente sulle spalle dei lavoratori.
Alla notizia della bocciatura dell’ accordo il Sindaco, in qualità di Presidente della Fondazione Arena, scioglie il Consiglio di Indirizzo e richiede al Ministero la Liquidazione Coatta Amministrativa della Fondazione.
Il Ministro Franceschini,ora coinvolto direttamente e chiamato a riferire alla Camera, opta invece per il Commissariamento e individua in Carlo Fuortes, già Sovrintendente alla Fondazione del Teatro dell’ Opera di Roma, colui che dovrà occuparsi di assicurare l’allestimento dell’ imminente stagione estiva e di traghettare la Fondazione Arena nel regime della legge Bray.
A questo scopo stila un ulteriore piano di rilancio da presentare al Ministero e questa volta la scure è ancora più pesante e prevede addirittura la chiusura di tutto il Teatro per un periodo di due mesi all’ anno per tre anni, il taglio del personale a termine, la ridiscussione del Contratto Integrativo e “ naturalmente “ la chiusura del Corpo di Ballo, che nel frattempo ha rimpinguato le sue fila grazie alla vittoria, da parte dei lavoratori di una decina di vertenze che si sono risolte con la trasformazione dei contratti a tempo indeterminato. Da specificare che questo ultimo punto è stato inserito unilateralmente nel piano e senza alcun accordo sindacale.
In questo clima di calma apparente si tiene, senza troppi intoppi il Festival Lirico, che riscontra, alla fine dell’ estate, risultati che si possono definire positivi.
Ad Agosto, però, un’ altra tegola si abbatte sui lavoratori: la legge 160.
Promulgata dal Ministero agli inizi del mese e approvata in tempi brevissimi, la legge pare creata col preciso scopo di limare quei punti del piano Fuortes che parevano stridere con l’ approvazione per l’accesso al fondo della precedente legge Bray. Inoltre prevede, in caso di mancato pareggio del bilancio entro il 2018, il declassamento delle Fondazioni Lirico Sinfoniche allo status non meglio precisato di Teatri d’Opera, alla perdita dei fondi del FUS, all’ obbligo di ridurre la produzione e alla possibilità di trasformare arbitrariamente i contratti dei dipendenti da tempo indeterminato a part time di tipo verticale. Da notare come il tentativo di trasformazione del contratto dei dipendenti era stato già fatto a giugno da Fuortes a Verona, in sede di discussione del piano, tentativo poi rientrato e sostituito dall’ accesso ai fondi del FIS, usati dalla Fondazione in sostituzione degli ammortizzatori sociali per i mesi di sospensione dell’ attività, ammortizzatori sociali che non sono previsti per i lavoratori dello spettacolo.
Con l’autunno del 2016 e il Teatro in regime di sospensione dell’ attività, si avvia l’ultimo atto dell’ esistenza del Corpo di Ballo, per il quale, ai primi di ottobre si apre la procedura di mobilità.
Viene nominato, direttamente dal Ministro, su indicazione di Carlo Fuortes, un nuovo Sovrintendente, Giuliano Polo, ma la direzione della Fondazione Arena nei confronti del Corpo di Ballo non cambia. A nulla valgono le numerose proposte fatte dai lavoratori e dalle OOSS. Il 31 dicembre 2016, dopo i 75 giorni previsti per la trattativa in sede aziendale e provinciale, questa si chiude con un mancato accordo: la Fondazione Arena di Verona procederà entro 120 giorni al licenziamento dei tersicorei, prima tra le Fondazioni Lirico Sinfoniche a cessare un intero settore artistico attraverso la 223, per dismissione di ramo d’azienda.
Fin qui la cronaca di quanto avvenuto nell’ ultimo anno, quanto impegno sia stato profuso dallo Stato per colpire al cuore uno dei più grandi teatri lirici al mondo. Quello che avrebbe dovuto essere uno dei fiori all’occhiello della cultura del nostro paese esce moribondo e menomato dallo scontro con chi avrebbe avuto il dovere, anche istituzionale, di tutelarlo.
Considerazione a parte per il destino del Corpo di Ballo.
Da sempre vittime designate dei Teatri in difficoltà, siano queste vere o fittizie, l’atteggiamento tenuto nei confronti dei Corpi di Ballo e dei danzatori è indice di quanto in Italia la politica e la società sia ignorante di quest’ arte, che considera da sempre subalterna e accessoria alle altre masse artistiche, senza mai considerare davvero quanto invece la danza possa apportate ai teatri in termini di botteghino e fidelizzazione del pubblico. In Italia pare vigere un regime di persecuzione dei Tersicorei, specie di coloro che hanno osato avere un contratto a tempo indeterminato e percepire uno stipendio. Gli anni di studio dedicati a quest’ arte non vengono minimamente presi in considerazione, tantomeno l’alta specializzazione dei danzatori, che spesso vedono la loro carriera costretta a dirigersi fuori dal proprio paese. La mentalità stessa dei giovani danzatori si forma con l’aspirazione massima di poter lavorare fuori dall’ Italia solo per vedere riconosciuta la dignità del proprio mestiere. Non solo i grandissimi artisti della danza si sono affermati all’estero, prima di essere riconosciuti in patria, ma anche e soprattutto le centinaia di professionisti che svolgono il loro lavoro quotidianamente e ad altissimi livelli di professionalità e artisticita.
Uno Stato che ignora tutto questo è culturalmente criminale, non meno dei terroristi dell’ Isis che distruggono tutto ciò che in medio Oriente esuli dalle loro folli idee.
Se questa è l’idea che l’Italia ha della danza e dei danzatori, allora significa che questa Italia non merita i danzatori che ha.
Marco Fagioli* – Comitato Opera Nostra – Fondazione Arena Bene Comune
*Marco Fagioli è uno dei ballerini licenziati a causa della chiusura del Corpo di ballo di Fondazione Arena